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martedì, giugno 24, 2003
 
AFGHANISTAN IL PAESE INVISIBILE
IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL

Amnesty International ha ribadito oggi il timore che la situazione in Afghanistan non sia tale da permettere la promozione dei programmi di rimpatrio volontario dei rifugiati e dei richiedenti asilo e ha chiesto ai paesi interessati di non esercitare pressioni per far ritornare i rifugiati in un contesto non sostenibile. "Le condizioni di sicurezza in tutto l'Afghanistan si sono fortemente deteriorate nel corso del 2003 e non si può dire che siano mutate in modo decisivo, duraturo ed effettivo. È dunque difficile pensare di promuovere il rimpatrio in un futuro immediato" – ha dichiarato Luca Lo Presti, coordinatore Afghanistan della Sezione Italiana di Amnesty International.

Nel suo rapporto, intitolato Afghanistan - Invisibili e dimenticati: il destino degli afgani che rientrano nel paese, Amnesty International denuncia che, nelle attuali condizioni, l'impossibilità per molti rifugiati e profughi interni di tornare ai luoghi di origine o di scelta sta dando vita a una nuova emergenza e a un ulteriore ciclo di abbandono del paese.

"La praticabilità del rientro è anche ostacolata dall'inadeguatezza degli aiuti e dell'assistenza alla ricostruzione da parte della comunità internazionale. Occorre rimediare a questa situazione: l'Afghanistan non può scomparire nuovamente dall'agenda internazionale" – ha aggiunto Lo Presti. "La situazione è esacerbata inoltre dal fatto che, in molti casi, il ritorno si sta svolgendo in circostanze che non è possibile definire volontarie".

Negli ultimi venti anni, il Pakistan e l'Iran hanno garantito rifugio a quasi sei milioni di rifugiati afgani. Tuttavia, negli ultimi anni, Amnesty International ha notato che il "peso dell'asilo" in questi due paesi ha determinato pressioni per spingere i rifugiati al rientro, in violazione degli standard del diritto internazionale.

Facendo credere che si tratti di un rientro in sicurezza, paesi non confinanti con l'Afghanistan, tra cui Regno Unito e Australia, hanno a loro volta manifestato l'intenzione di costringere i richiedenti asilo e i rifugiati afgani a rientrare nel paese. Questo rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione per Amnesty International.

"Se i rifugiati non possono rientrare nel loro paese di origine vi è sempre più la possibilità, confermata da quanto accaduto in Afghanistan a partire dal 2002, che essi cercheranno nuovamente di ottenere riparo in altri paesi. Favorire la praticabilità del rientro è dunque nell'interesse degli stessi rifugiati, del paese di origine e dei paesi di asilo, sia confinanti che lontani rispetto al paese da cui provengono questi ultimi" - ha proseguito Lo Presti.

Amnesty International chiede ai paesi non confinanti con l'Afghanistan che ospitano rifugiati, specialmente a quelli industrializzati come l'Australia e gli Stati membri dell'Unione Europea, di essere consapevoli del fatto che il rientro forzato dei rifugiati o dei richiedenti asilo le cui domande sono state respinte trasmette un segnale sbagliato ai paesi in via di sviluppo che ospitano masse ben più ampie di afgani, e cioè che essi a loro volta possono dare inizio alla fase di rientro.

L'organizzazione per i diritti umani ha ribadito che l'assistenza alla ricostruzione dell'Afghanistan deve essere adeguata e concreta, che deve essere garantito un effettivo livello di sicurezza in tutto il paese e che le istituzioni nazionali che si occupano di giustizia, polizia e riforme sociali devono essere messe in grado di operare ovunque e in modo tale da rispettare i diritti umani.

"Solo quando queste condizioni saranno soddisfatte, sarà possibile per i rifugiati e i profughi interni interrompere il ciclo dell'abbandono e ritornare nei luoghi di origine in modo davvero volontario e praticabile" – ha concluso Lo Presti.


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